Antisemitismo: dai social alla strada

da | Set 20, 2025 | Dati, News

di Murilo Cambruzzi, ricercatore presso la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea

 

 

Nei primi nove mesi del 2025 l’Osservatorio Antisemitismo ha registrato circa 500 episodi di antisemitismo in Italia. Un dato che si inserisce in una tendenza in crescita iniziata dopo il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas in Israele e della conseguente guerra a Gaza. Quella data ha segnato un punto di svolta anche in Europa: se nei tre anni precedenti gli episodi si attestavano attorno ai 230 all’anno, nel 2024 si è arrivati a 874 casi, quasi quattro volte tanto.

Numeri che non restano confinati alle statistiche, ma che trovano conferma nelle cronache quotidiane. A Venezia, una coppia di ebrei è stata aggredita e minacciata con un cane in strada. Su TikTok, un utente ha minacciato apertamente di “fare violenza contro i sionisti”. E ancora, il consigliere comunale milanese Daniele Nahum è stato bersaglio di una serie di messaggi carichi d’odio e minacce.

Non si tratta più soltanto di insulti lanciati da profili anonimi. In alcuni casi si è arrivati a esplicite incitazioni all’omicidio, come nel video circolato su TikTok in cui si esortava a uccidere ebrei. Oppure nelle minacce di morte dirette a figure pubbliche dell’ebraismo italiano, a testimonianza di un salto di qualità della violenza verbale.

Università sotto pressione

Il clima non risparmia nemmeno i campus universitari. Secondo uno studio della European Union of Jewish Students (EUJS), molte università europee — Italia inclusa — stanno diventando luoghi ostili per gli studenti ebrei. Non pochi raccontano di sentirsi costretti a nascondere simboli religiosi, come la kippah, o a tacere le proprie origini per non essere emarginati.

La paura non è solo percezione. A Firenze, uno studente impegnato in attività a favore di Israele ha ricevuto minacce dirette: “Stai attento”, gli è stato detto. L’università, luogo per eccellenza di confronto e crescita, rischia così di trasformarsi in un’arena di scontri ideologici dove la libertà di parola e di identità è compromessa.

Pregiudizi che resistono

Se gli episodi quotidiani mostrano il lato più visibile dell’odio, i sondaggi aiutano a capire quanto siano ancora radicati stereotipi e convinzioni antisemite. Una ricerca di YouTrend rivela che il 47% degli italiani considera appropriato il paragone tra Israele e la Germania nazista; il 17% concorda con l’idea che “gli ebrei siano responsabili della maggior parte delle guerre nel mondo”; il 36% crede che “abbiano troppa influenza nella finanza e nei grandi media”.

Dati che fotografano un antisemitismo meno esplicito ma più diffuso, pronto a emergere nei momenti di tensione internazionale. È il terreno su cui proliferano teorie complottiste e semplificazioni pericolose, che trasformano un popolo in un capro espiatorio collettivo.

I Pride, tra inclusione e esclusione

Persino luoghi simbolo di accoglienza e pluralismo come i Pride non sono rimasti immuni dall’odio antisemita. A Napoli, attivisti ebrei di Keshet Italia sono stati fortemente contestati. In altre manifestazioni, bandiere arcobaleno con la stella di David sono state respinte o contestate. Al Piceno Pride, un partecipante che sventolava una bandiera arcobaleno con il Maghen David è stato avvicinato da uno sconosciuto e la sua bandiera è stata strappata.

Questi episodi mostrano come l’antisemitismo sappia insinuarsi anche all’interno di movimenti che nascono per difendere i diritti delle minoranze, creando divisioni e nuove esclusioni.

Cultura e spazi pubblici

Il clima di ostilità ha raggiunto anche eventi culturali. Alla Fiera del Libro di Torino, un giornalista ebreo è stato contestato da un gruppo di manifestanti che hanno trasformato il dibattito in un terreno di scontro politico.

Sempre più spesso, le comunità ebraiche si trovano costrette a organizzare le proprie attività a porte chiuse, con misure di sicurezza rafforzate per garantire la protezione dei partecipanti. Nel frattempo, sui social vengono diffusi elenchi di presunti “sionisti”, un fenomeno che ricorda dinamiche di schedatura inquietanti.

L’odio 2.0

Il terreno principale su cui l’antisemitismo si diffonde resta però la rete. Un cartello apparso su TikTok recitava: “Salutami con ‘morte a Israele’ e ti offro il caffè”. Qualsiasi video pubblicato da influencer ebrei o da turisti israeliani può trasformarsi in un’arena di insulti, con commenti che evocano la Shoah, Hitler e i campi di sterminio.

La Polizia di Prevenzione ha parlato di un vero e proprio fenomeno di “antisemitismo 2.0”, sottolineando come siano i giovanissimi i più esposti a questi contenuti. Un’allerta che mette in luce non solo il pericolo immediato, ma anche l’effetto di lungo periodo: la normalizzazione dell’odio tra le nuove generazioni.

La paura di mostrarsi

Il risultato è un clima in cui molti ebrei — ma anche musulmani — hanno paura di mostrare apertamente la propria identità. Indossare una kippah, portare un simbolo religioso, parlare della propria origine può diventare un rischio. Non sono pochi quelli che scelgono di camuffarsi, di “abbassare la testa” per non attirare attenzioni indesiderate.

Questo senso di vulnerabilità non riguarda solo chi subisce direttamente l’odio, ma si estende all’intera società. Quando la paura prende il posto della fiducia, gli spazi pubblici si svuotano di dialogo e si riempiono di sospetto.

Un problema che riguarda tutti

L’antisemitismo, dunque, non è un problema “degli ebrei”. È una minaccia per la democrazia. Dove attecchisce l’odio, i diritti di tutti diventano più fragili. Non si tratta soltanto di proteggere una minoranza, ma di difendere il tessuto civile nel suo complesso.

Contrastarlo significa agire su più fronti: con leggi più efficaci contro i crimini d’odio; con un impegno delle piattaforme digitali a rimuovere contenuti violenti e a limitare la viralità dei discorsi d’odio; con un lavoro educativo capillare che aiuti a riconoscere stereotipi e complottismi.

L’urgenza di ritrovare l’umanità

In un contesto infiammato dal conflitto tra Israele e Hamas, è facile cadere nella trappola della disumanizzazione: israeliani contro palestinesi, ebrei contro musulmani, “noi” contro “loro”. Ma la storia insegna che questa strada porta solo a nuove violenze.

Ritrovare l’umanità dell’altro non è un gesto di ingenuità, ma un atto politico necessario. È il primo passo per spezzare la spirale dell’odio e costruire una società più giusta, capace di garantire dignità e sicurezza a tutti.