Università, aziende, enti locali: come rendere le nostre organizzazioni ‘hate free’?
Università, aziende, enti locali: come si contrastano a questo livello gli stereotipi negativi, che troppo spesso aprono le porte a discorsi e fenomeni di intolleranza? Come predisporre e attuare buone pratiche utili per favorire parità di genere e protocolli antidiscriminazione? Questo, il focus di un ciclo di incontri promosso dall’Università di Bologna (Laurea Magistrale in Scienze criminologiche per l’investigazione e la sicurezza) in collaborazione con la Rete per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni di odio.
Due, sin qui, i seminari realizzati per un pubblico misto di studenti, docenti, delegate di atenei, amministratori e dirigenti di azienda. Ai e alle referenti di università, aziende e enti locali la Rete ha proposto di sottoscrivere un manifesto-vademecum antidiscriminazione, che prende le mosse dalla consapevolezza che l’adozione di linguaggi rispettosi della parità di genere e delle categorie a rischio di discriminazione è, insieme all’avvio di veri e propri piani per favorire l’equità, una delle azioni decisive per contrastare la diffusione di fenomeni di odio e intolleranza. Un’azione necessaria, se agita da organizzazioni e istituzioni con forte presa sui propri pubblici, per creare culture e narrative improntate all’inclusione.
Ma in concreto, quando si parla di buone prassi, che cosa si intende?
Per esempio, come ha ben spiegato Sara De Vido dell’Università Ca Foscari di Venezia (delegata della Rettrice ai Giorni della Memoria, del Ricordo e alla Parità di genere), l’adozione di gender equality plan, che prevede la creazione di campagne, l’aggiornamento delle linee guida che improntano la scrittura di documenti e pubblicistica interna ed esterna, un utilizzo responsabile dei social media (eliminando commenti e post discriminatori o carichi d’odio). Tutte azioni in linea con le raccomandazioni dell’Unione Europea.
Un monitoraggio costante viene eseguito dall’Università di Milano, come ha sottolineato Nannerel Fiano spiegando che UniMi cerca di utilizzare un linguaggio inclusivo, attraverso la pubblicazione di un vademecum sul linguaggio e si impegna ad assicurare politiche di inclusione, attraverso l’adozione di bilanci di genere e gender equality plan.
A Firenze, invece, come ha sottolineato Maria Paola Monaco, delegata della Rettrice all’Inclusione e Diversità, si è investito sul rafforzamento del CUG (Comitato unico di garanzia per le pari opportunità), il Garante di diritti, adottando politiche di inclusione verso gli studenti rifugiati, le persone con disabilità, gli studenti che si trovano in stato di privazione della libertà, senza dimenticare la parità di genere.
Ha parlato di università “hate free” anche Fiorella Giusberti, consigliera di Fiducia del Rettore dell’Università di Bologna Alma Mater, trattando diversi punti, tra cui l’istituzione del CUG e l’adozione di due importanti normative: il Codice etico e di comportamento, che raccoglie i principi accettati e condivisi da tutti i componenti della comunità universitaria; e il Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali.
A Torino, invece, come spiegato da Marinella Belluati, ci si è concentrati sullo studio dei social media per monitorare la presenza di discorsi d’odio nei profili pubblici dei politici, prassi che la Rete conosce bene, avendo negli anni promosso rilevazioni e monitoraggi costanti, come la Mappa dell’Intolleranza di VoxDiritti e il Barometro dell’Odio di Amnesty International. L’importanza delle rilevazioni è stata sottolineata anche da Anna Maria Cherubini, Delegata del Rettore alle Politiche di Genere presso l’Università del Salento.
Centrale, in tutte le riflessioni di questo primo seminario moderato da Pierluigi Musarò, la questione della necessità di normare e sanzionare i discorsi d’odio. Il tema dell’hate speech, come da tutte evidenziato, ha infatti sempre più rilievo nel diritto costituzionale e nella dimensione giuridica: capire il confine tra libertà di pensiero e tutela del principio di uguaglianza è un’operazione complessa. La Corte costituzionale, però, ha avuto modo di affermare che esiste un limite ed è la tutela della dignità del singolo.
Il seminario dedicato alle aziende
Ricco di spunti, anche il seminario dedicato alle aziende, moderato da Silvia Brena, che ha visto la partecipazione di figure di primo piano nel mondo delle risorse umane e della comunicazione interna. Al centro della riflessione, le buone prassi che le aziende oggi adottano per favorire la parità di genere e le pratiche antidiscriminatorie. Due, gli elementi emersi dalla discussione: la centralità della persona, e la necessità di recepirne esigenze, bisogni, aspirazioni capaci di favorirne il pieno ed armonico sviluppo, condizione necessaria per combattere discriminazioni e intolleranza. A queste si aggiunge la necessità di arricchire le proprie figure professionali con meta competenze legate all’inclusione, indispensabili oggi per favorire coesione dei team di lavoro e maggiore aderenza ai principi e ai valori identitari delle aziende stesse. Perché, come ha sottolineato Michele Valerio, Ceo di Eupragma, azienda di consulenza tra le più quotate in Europa, il tema dell’inclusione e della lotta contro stereotipi negativi non è più per le organizzazioni solo una questione etica e di posizionamento valoriale, ma diventa fattore abilitante anche per estendere il proprio business, come molte ricerche stanno dimostrando: secondo il Diversity Brand Index, infatti, il 77,5 % dei consumatori nella fascia Millennial sceglie brand inclusivi e il 58,5% degli italiani si dichiara più predisposto ad acquistare un prodotto comunicato attraverso uno spot in cui è evidente la sensibilizzazione alle tematiche di inclusione.
Anche da qui, dunque, la necessità di intercettare nuove sensibilità e di calarsi appieno in quello zeitgeist contemporaneo, che parla di urgenza valoriale. Così Roberta Accettura, responsabile Personale IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo, ha spiegato che le policy dirette a favorire la parità di genere in Intesa Sanpaolo si basano sull’adozione di un welfare interno inclusivo (tra cui, permessi di paternità e maternità), su un’educazione costante verso un uso di linguaggio rispettoso della parità di genere e inclusivo, e sul monitoraggio delle discriminazioni. Silvia De Blasio, Direttore comunicazione corporate Vodafone e Fondazione Vodafone, ha spiegato l’importanza dell’adozione di una vera e propria agenda dell’inclusione che, come avvenuto in Vodafone, favorisca il welfare interno e crei le condizioni per scambi intergenerazionali e interculturali tra le persone dell’azienda, primo motore di superamento di stereotipi negativi. Alta l’attenzione anche al mondo dell’innovazione, che in termini di inclusione si traduce nella creazione di due app: una creata per supportare le donne che subiscono violenza e l’altra per permettere ai giovani di apprendere competenze digitali di base certificate, attraverso un approccio ludico.
A proposito di tech company
Interessante l’approccio di Team System che, come ha spiegato Donatella Isaia, group chief people and culture officer del gruppo, si concentra su inclusione e flessibilità attraverso azioni concrete, quali l’adozione della settimana corta (4 giorni lavorativi), per permettere una maggiore integrazione del tempo lavoro e del tempo libero e l’adozione dello smart working diffuso, in modo da lasciare alla persona la decisione sull’organizzazione dei propri ritmi. Pratiche che, pur sembrando lontane dall’adozione di protocolli antidiscriminazione, in realtà, come diversi studi hanno dimostrato, favorendo la flessibilità favoriscono anche una maggiore inclusione.
Inclusione, che passa anche e soprattutto attraverso il linguaggio, come sottolineato dal Manifesto proposto dalla Rete. E su cui si è soffermato Roberto Natale, Direttore Rai Sostenibilità, che ha spiegato come in Rai, nonostante l’adozione di un linguaggio attento alla parità di genere, la strada da percorrere sia ancora lunga, poiché le donne sono presenti solo per un 1/3 sugli schermi. Per questo, hanno applicato la politica del 50/50, hanno introdotto protocolli e iniziative pubbliche dove le donne sono presenti. Molto, in Rai, è stato fatto sul fronte della lotta al razzismo, anche attraverso confronti con le organizzazioni che si occupano di contrastare il fenomeno.
Fondamentale, come riconosciuto da tutti i partecipanti al seminario, l’attenzione al linguaggio, che deve essere inclusivo e attento a non favorire stereotipi negativi, discriminazione e intolleranze. Per questo, il Manifesto proposto dalla Rete può diventare uno strumento utile di diffusione di nuove culture per aziende, università, enti pubblici.