Un “panel” di cittadinə per contrastare l’odio

da | Mag 24, 2024 | Approfondimenti, Riflessioni e progetti della rete

di Federico Faloppa, Coordinatore della Rete

 

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo si stanno avvicinando. In un clima carico di tensioni – le guerre in corso, l’avanzata delle destre estreme in tutto il continente, la militarizzazione del discorso pubblico, l’accentuarsi del fanatismo politico, la crisi ecologica, la crescente sfiducia nelle istituzioni sovranazionali – circa 360 milioni di cittadinə europeə sarà presto chiamato a votare e a decidere, tra l’altro, quale sarà la prossima maggioranza di governo dell’Unione. Secondo moltə, si tratterà di elezioni chiave per il destino dell’Europa. Secondo chi si batte per la difesa dei diritti delle minoranze, e in generale dei diritti umani, i motivi di apprensione non mancano. Anche perché la sensazione è che non siano poche le forze in campo che stiano tentando di disgregare quel poco di unità politica e sociale che ancora rimane (pur tra mille contraddizioni e ipocrisie: vedi le politiche migratorie tutte improntate alla difesa dei confini) dell’originario disegno europeista.

Eppure, vista da qui l’Unione Europea è molto più unita di quanto possa sembrare. Vista dal “Citizens’ panel on tackling hatred in society” della Commissione Europea, intendo, che per quasi due mesi ha coinvolto e fatto incontrare centocinquanta cittadinə dell’Unione estratti a sorte.

Ma andiamo con ordine. Che cos’è, innanzitutto, un “Citizens’ panel”, e perché farne uno proprio sull’odio nella società, e su come provare a rispondervi?

Quello dei “citizens’ panel” (“comitato di cittadinə”) è un format che la Commissione Europea ha adottato circa tre anni fa per dar seguito agli esiti della Conferenza sul futuro dell’Unione del 2021-22, come strumento di democrazia partecipativa che potesse permettere a una rappresentanza della cittadinanza, casualmente selezionata, di esprimersi e di essere ascoltata su temi di prioritario interesse per le istituzioni di Bruxelles. Ad oggi, ben nove “panel” sono già stati organizzati su altrettanti argomenti chiave (come, ad esempio, quello della sostenibilità alimentare ed energetica), permettendo a persone non esperte provenienti dai 27 paesi dell’Unione di partecipare a un processo di confronto, apprendimento, deliberazione e proposta (lo si può cogliere attraverso la “Citizens’ engagement platoform”), affiancate da un gruppo di espertə (il “Knowledge Committee”, di cui ho avuto il privilegio di far parte) capace di fornire loro elementi fattuali su cui riflettere, e chiarire questioni tecniche.

L’ultimo “Citizens’ panel” svoltosi in ordine di tempo è stato appunto quello sull’odio nella società (aprile-maggio 2024), che era chiamato a rispondere alla domanda “che cosa possono fare la cittadinanza e la UE per affrontare il problema dei discorsi e crimini d’odio nella società?” e quindi a formulare una serie di raccomandazioni da passare alla Commissione Europea.

Si è trattato di un “panel” complesso ed sorprendente al tempo stesso. Complesso perché ha richiesto un grande lavoro di ascolto e di dialogo da parte di tuttə, su un tema che direttamente o indirettamente riguarda la vita delle persone, le loro emozioni, i loro stili comunicativi, le loro relazioni interpersonali, e sul piano delle responsabilità e delle policy chiama in causa molti attori sociali e privati (organismi politici e di controllo, media, piattaforme digitali, società civile, ecc.). Sorprendente perché in poche settimane è riuscito ad attivare un’intelligenza collettiva capace non solo di produrre ventuno raccomandazioni, alcune delle quali davvero originali e innovative, ma anche di dare sostanza all’idea stessa d’Europa.

Già solo il fatto che centocinquanta persone, dalla provenienza e appartenenza politica e sociale più diversa, grazie al supporto della Commissione Europea abbiano avuto l’opportunità di conoscersi, parlarsi, lavorare insieme, cercare compromessi, negoziare proposte, sentirsi parte dei processi decisionali di un’istituzione che solo fino a pochi giorni prima sentivano distante se non aliena, è in sé un risultato importantissimo. Ma ancora più importante è che questə cittadinə siano riusciti a fare tutto ciò intorno a un tema così sfaccettato e pervasivo – quello dei discorsi e dei crimini d’odio – sulla cui percezione ‘popolare’ e sui cui effetti nei diversi contesti ancora si sa troppo poco (perché ancora troppo poco si ascoltano, realmente, i target diretti e indiretti, al di là dei casi eclatanti o dei dati numerici). E sulle cui risposte occorre molto resta ancora da fare, a partire da un dialogo serrato ed efficace tra ricerca, elementi di governance, ed esperienze reali, capace di tener conto non solo delle forme e delle dinamiche dei discorsi d’odio, ma anche della diversità sociale – e in termini di consapevolezza e bisogni – delle persone che con questi fenomeni sono chiamate a confrontarsi, lontane dai riflettori.

Vedere che non solo è pensabile, ma anche possibile interrogarsi sul significato di identità (al plurale) europee proprio mettendo in discussione i pregiudizi di fronte alle differenze (spesso viste con sospetto o paura) di cui è fatto questo continente – intendendo per continente non una statica formula geo-politica che si erge a fortezza, ma uno spazio di convivenza aperto al suo interno e verso l’esterno – e sfidando retoriche e pratiche d’odio sempre più normalizzate e ottundenti offre uno spiraglio non solo a tuttə noi impegnati nel contrasto a discriminazioni e odio, ma anche a chi ancora spera nella (ri)costruzione di un’idea di cittadinanza europea plurale e transnazionale.

Al di là di quanto uscirà dalle urne del 6-9 giugno, è forse da qui che occorre – e si può – ripartire.

 

Foto per gentile concessione della Commissione Europea

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