I politici non devono “nutrire l’intolleranza”: il caso Sanchez v. France davanti alla Corte Edu.
a cura di Cecilia Siccardi, Gruppo Advocacy
Non viola la libertà di espressione la condanna alla multa di 3.000 euro nei confronti di un politico francese per non aver rimosso, in campagna elettorale, commenti razzisti pubblicati da terzi sulla propria pagina Facebook.
I fatti
Il sindaco di una cittadina francese, Julien Sachez, candidato nel 2011 alle elezioni politiche per il Front National, ha postato sulla propria pagina Facebook un messaggio sarcastico nei confronti di un euoroparlamentare dell’UMP. Nel giro di pochi minuti sono comparsi sotto il post diversi commenti a sfondo razzista e islamofobo, pubblicati dai follower della pagina.
Nonostante le frasi razziste fossero state scritte da terzi, Sanchez è stato condannato ad una multa di tremila euro per non aver rimosso commenti, che, secondo i giudici francesi, erano idonei ad integrare una specifica fattispecie di reato: l’istigazione all’odio e alla violenza contro un gruppo di persone.
Ritenendo una simile condanna eccessivamente lesiva della propria libertà di pensiero, Sanchez ha presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, lamentando la violazione dell’art. 10 CEDU.
La decisione della Corte Edu
Quanto la natura dei commenti pubblicati sulla pagina del ricorrente, la Corte non ha dubbi: essi sono “chiaramente illeciti” poiché diretti a discriminare un gruppo di persone. Questa affermazione sarebbe bastata alla Corte per non accogliere il ricorso. Tuttavia, andando forse un po’ al di là delle argomentazioni giuridiche strettamente necessarie ai fini del giudizio, la Corte EuU prosegue il ragionamento affrontando due elementi peculiari che caratterizzano il caso.
In primo elemento riguarda il contesto: la campagna elettorale, posto che i commenti razzisti sono stati postati sulla pagina Facebook di un candidato alle elezioni politiche.
Secondo la Corte Edu, se è pur vero che i partiti politici devono godere di un’ampia libertà di espressione, bisogna tenere in considerazione che in campagna elettorale il discorso razzista e xenofobo rischia di avere un impatto drammaticamente più forte. Nel caso di specie, infatti, i commenti sono stati pubblicati su una pagina Facebook, aperta e liberamente accessibile, che aveva lo scopo di raggiungere il numero più elevato possibile di potenziali elettori.
Il secondo elemento di novità attiene al fatto che il ricorrente è stato condannato non per proprie parole discriminatorie, ma a causa di commenti pubblicati da terzi sulla sua pagina Facebook.
Sul punto la Corte Edu ricorda che, ai sensi dell’art. 10 par. 2 CEDU, l’esercizio della libertà di espressione non costituisce solo un diritto, ma “comporta doveri e responsabilità” (art. 10, par. 2 EDU) che devono essere rispettati, a maggior ragione, da personaggi pubblici.
Per tale ragione – afferma la Corte – “è di cruciale importanza” che i politici non solo si impegnino a non diffondere un discorso razzista, ma devono evitare di “nutrire l’intolleranza”.
Al contrario, il ricorrente, non avendo rimosso commenti razzisti e islamofobi ha contribuito a diffondere l’odio e l’intolleranza verso i mussulmani, sentimenti peraltro esasperati dal contesto della campagna elettorale.
Con questa pronuncia, la Corte Edu chiarisce, ancora una volta, come il razzismo non può costituire in nessun caso esercizio della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 10 CEDU, la quale trova un limite invalicabile nel rispetto dei diritti altrui.
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