Il ruolo delle campagne di informazione nella gestione dei flussi migratori

da | Mar 24, 2021 | Approfondimenti

 

Immagini, testimonianze, video e foto simbolo: i media raccontano sovente la disperazione, le difficoltà e le tragedie che spesso accompagnano i viaggi dei migranti e dei rifugiati che tentano di oltrepassare i confini europei. A chi è rivolta questa narrazione e quali sono le sue conseguenze sugli attori coinvolti? Questo è il tema affrontato nell’articolo “Aware Migrants: The role of information campaigns in the management of migration”, di Pierluigi Musarò, Professore associato presso l’Università di Bologna e research fellow presso IPK, New York University (USA), London School of Economics and Political Science, e Melbourne University.

Muovendo dagli studi sulla biopolitica e la spettacolarizzazione dei confini, l’articolo esplora diversi rischi connessi alle campagne di informazione volte a sensibilizzare i potenziali migranti e rifugiati sui rischi dell’attraversamento (irregolare) dei confini: tra gli altri, la stigmatizzazione di queste persone, spesso dipinte come vittime o criminali, o il fatto che possano dissuadere persone in seria difficoltà dall’abbandonare i loro Paesi per richiedere asilo altrove (diritto garantito dalla Convenzione di Ginevra). Attraverso descrizioni molto specifiche, queste campagne operano come “nuove pratiche di esternalizzazione dei confini”, agendo in modo complementare con altri strumenti e azioni politiche di controllo dei confini. 

Il tema viene affrontato anche attraverso l’analisi di una specifica campagna informativa: Aware Migrants (2016), finanziata dal Governo italiano e gestita dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), con lo scopo di dissuadere potenziali nuovi migranti dal tentativo di attraversare il Mediterraneo. 

L’analisi di Aware Migranti mostra come la campagna contribuisca a trasformare un immaginario transnazionale in un paesaggio di frontiera militarizzato, che comprende luoghi di violenza e morte, sfruttamento e detenzione, in una logica di cura e repressione propria dei regimi di gestione dei confini contemporanei.

Infine, l’articolo mette in luce come queste pratiche simboliche contribuiscano ad alimentare una “repressione compassionevole” che legittima, sempre di più e in maniera silenziosa, la differenza tra “noi” (cittadini di paesi europei) e “loro” (stranieri, estranei).