Tre casi esemplari

da | Apr 30, 2025 | Approfondimenti, News, Riflessioni e progetti della rete

di Federico Faloppa, Coordinatore della Rete

 

Aprile è il mese più crudele. Non sarà la Wasteland del primo dopoguerra di T.S. Eliot, ma certo la desolazione non è mancata nella ultime settimane, attraverso la Penisola, in fatto di discorsi d’odio e discriminazioni.

Ha un anticipo, questo desolante mese di aprile, con l’attacco sferrato da una testata locale online contro Marwa Mahamoud, Assessora alle Politiche educative, con delega a Intercultura e Diritti umani, del Comune di Reggio Emilia. Rea, a detta del direttore della testata locale, di condurre “da tempo una campagna di neanche tanto sottile diffamazione dei valori, dei principi e dello stile di vita degli abitanti la terra che l’ha accolta, nutrita e valorizzata” e di aver aperto “uno Sportello Antirazzista a Reggio Emilia, quasi che fossero gli italiani di nascita a creare problemi ai teneri maranza” (Quindi i razzisti saremmo noi | 24Emilia, 22 marzo 2025). Colmo di inesattezze che la stessa Assessora ha puntualmente fatto notare in una intervista al “Resto del Carlino”, l’articolo è stato ripreso dal “Giornale” e ha dato la stura a commenti diffamanti e di incitamento all’odio islamobofo e sessista i quali, benché subissati dai moltissimi attestati di solidarietà giunti a Mahamoud da tutto il Paese, hanno fatto emergere la vera posta in gioco: non solo l’apertura di uno sportello antirazzista – che già esiste senza destar scandalo in altre città italiane – prevista dal progetto europeo “Cities”, di cui Reggio Emilia è partner, ma anche il fatto che nell’Italia del ventunesimo secolo una donna musulmana che fa politica attiva venga vista, e raccontata, come un ossimoro, quando non come un pericoloso indizio dell’islamizzazione del Paese.

Paese in cui, è bene ricordarlo, il potere temporale della Chiesa è saldamente radicato nelle istituzioni e in cui si continua a proibire a colpi di ordinanze comunali la costruzione di moschee, con buona pace dei principi di laicità e di libertà di culto espressi dall’art. 1 e 19 della Costituzione. Ma soprattutto Paese in cui – come ha ribadito l’importante rapporto dell’ECRI pubblicato nell’ottobre scorso, esiste un razzismo sobillato ad arte da certe narrazioni mediatiche, istituzionalizzato, che non si vuole riconoscere e contro il quale, quindi, si fa ancora troppo poco. Cosa ben dimostrata, tra l’altro, proprio dalla campagna stampa orchestrata contro l’Assessora Mahamoud: donna, italiana, musulmana, attiva in politica, e per questo target ideale per eccitare hate speech (intersezionale), benaltrismo (ma che sportello: i problemi son ben altri!), paure ingiustificate, paternalismo retrivo.

Verso metà aprile è toccato a un’altra politica, sempre in Emilia Romagna, essere il bersaglio di una serie di commenti aggressivi e di incitamento all’odio. La Vicesindica di Bologna, Emily Clancy, è stata infatti oggetto di hate speech online per aver espresso una posizione critica su una campagna di alcuni padri separati che faceva il verso alla campagna sulla violenza di genere della Regione. Senza entrare nel dettaglio della vicenda politica (ricostruita qui), ciò che colpisce è la ferocia dei messaggi rivolti a Clancy (che lei stessa ha letto e segnalato in questo video), i quali – lungi da qualsiasi tipo di argomentazione – volevano semplicemente e direttamente offendere la Vicesindaca in quanto persona e donna. A dimostrazione non solo di quale discorso d’odio misogino ‘normalizzato’ possa circolare in Rete (come ben racconta anche l’ultima edizione della Mappa dell’Intolleranza di Vox Diritti), e di come sia necessario e urgente prevenire, combattere, denunciare la violenza di genere, ma anche di quanto sia osteggiata la presenza e la voce di donne – come Emily Clancy – pubblicamente impegnate nelle istituzioni sui temi dei diritti e del contrasto alle discriminazioni.

A questo proposito. Il mese finisce, ed è cronaca recente, con le minacce e gli insulti rivolti a Liliana Segre, in seguito alla sua partecipazione alle celebrazioni del 25 Aprile a Pesaro. Arrivate sulle pagine social del comune marchigiano e del sindaco della città, queste espressioni d’odio sono solo le ultime, in ordine di tempo, fra quelle ricevute negli anni dalla Senatrice a vita. E colpiscono, anche queste, per la violenza rivolta alla persona e per il loro livore antisemita. Sono espressioni che nulla hanno da spartire con la critica politica. Nulla. Ma che anzi ci ricordano quanto sia prioritario denunciare tutte le forme gravi di hate speech sia in quanto atto di violenza verso chi le subisce, sia in quanto vulnus alla discussione democratica: in quanto tentativo di zittire, delegittimare, invisibilizzare corpi e istanze.

Sono i corpi e le istanze delle donne che si espongono pubblicamente – come Marwa Mahamoud, Emily Clancy, e Liliana Segre, a cui esprimiamo la nostra solidarietà – ma anche e soprattutto quelli di chi non ha spazi, visibilità, diritti: quelli di cui la cronaca non ci non informa. E che proprio per questo devono essere al centro della nostra azione e attenzione, affinché i tempi non diventino ancora più crudeli.