Giunto alla sua terza edizione, il nuovo Rapporto SPAD – Sportello Antidiscriminazioni del Comune di Bologna, curato da COSPE, rappresenta un tassello fondamentale nel monitoraggio e nella comprensione delle discriminazioni che attraversano le nostre città.
Nato alla fine del 2021 come progetto sperimentale, lo SPAD si conferma oggi un servizio sempre più riconosciuto e utilizzato, con un numero crescente di accessi da parte di cittadine e cittadini, e una presenza sempre più integrata nei meccanismi dell’Amministrazione comunale.
Lo SPAD è molto più di uno sportello: è una rete, costruita in sinergia tra Comune e 37 associazioni del territorio, che adotta un approccio intersezionale per leggere la complessità dei fenomeni discriminatori. L’intersezionalità permette infatti di riconoscere che discriminazioni diverse si sovrappongono: provenienza, etnia, religione, disabilità, genere, orientamento sessuale. Solo un’analisi trasversale può dar conto dell’intreccio di queste vulnerabilità.
Il Rapporto analizza i casi gestiti dallo SPAD nel corso dell’anno, concentrandosi sulle discriminazioni legate a provenienza/nazionalità, origine etnica e religione. Su 44 casi pertinenti, 32 sono risultati di competenza dello SPAD. I numeri parlano chiaro:
- 85% delle discriminazioni ha riguardato la provenienza o la nazionalità;
- il 12% l’origine etnica;
- il 3% la religione.
Le modalità con cui queste discriminazioni si manifestano sono molteplici:
- le discriminazioni dirette rappresentano la quota più ampia (37,5%), ovvero trattamenti meno favorevoli rispetto ad altri in situazioni analoghe, senza giustificazioni oggettive;
- seguono le discriminazioni percepite (22%), segnalazioni che, pur non potendo sempre contare su una base giuridica solida, rivelano il vissuto reale di chi le subisce e vengono comunque prese in carico dallo sportello;
- le discriminazioni indirette (19%) e le molestie (12,5%) completano il quadro, insieme a una presenza significativa, seppur minore, dei discorsi d’odio (9%).
Questi ultimi meritano un’attenzione specifica: espressioni volte a fomentare odio o umiliazione nei confronti di gruppi o individui sulla base della loro identità, sono tra le forme più pericolose e insidiose di violenza simbolica e sociale.
Nel commento di Federico Faloppa, coordinatore della Rete Nazionale contro l’odio, emerge una delle sfide più complesse: quella del discorso d’odio online. Sempre più spesso – e soprattutto tra i più giovani e le donne – le discriminazioni si consumano in ambienti virtuali ma vissuti intensamente, come le piattaforme di gaming online. Spazi raramente presidiati, dove l’odio si diffonde senza freni, e dove le vittime non hanno strumenti né linguistici né relazionali per raccontare quanto accade. “E infatti l’ascolto attivo di queste esperienze va quasi del tutto pensato e strutturato (magari attraverso approcci peer-to-peer, da gamer a gamer) se è vero che chi subisce preferisce rimanere in silenzio piuttosto che riferirsi a persone che probabilmente non capirebbero né la dinamica né la natura dell’evento discriminante, oltre a essere digiuni del canale nel quale si è verificato”, afferma Faloppa.
La sfida, oggi, è consolidare e diffondere questo modello: renderlo sempre più strutturale, capillare e accessibile.