di Silvia Brena, VoxDiritti
I ragazzi sanno poco del 25 aprile, appena trascorso.
E spesso sui banchi di scuola disegnano la svastica. O inneggiano al fascismo. Poi, se glielo chiedi, rispondono di non avere idea del significato del simbolo nazista. “Mi piaceva il disegno”, spiegano.
I ragazzi sanno poco, spiegano gli psicologi, di affettività. O meglio, ne sono preda, ma non sanno decrittarne le implicazioni e la portata. E infatti spesso si lasciano andare a emozioni estreme. Per questo, anche, nelle scuole si rincorrono programmi e progetti di “educazione all’affettività”.
Ce n’è bisogno. Perché i ragazzi quello che sanno, o meglio che apprendono giorno dopo giorno, è l’odio.
Come sappiamo, e come ben spiegato dalla Mappa dell’Intolleranza di VoxDiritti, del resto, l’odio online, che prende le forme di fenomeni di cyberbullismo, è causa e riflesso di episodi di feroce bullismo.
Di questo, purtroppo, i ragazzi sanno molto.
Nell’ultimo mese e mezzo, si sono susseguiti omicidi, agguati, stupri, ferimenti. Da parte di minorenni su vittime minorenni.
Manfredonia, Napoli, Pescara, Milano, Monreale, Padova.
Spiega il rapporto Omicidi volontari consumati in Italia, della Criminalpol, che la percentuale di minorenni autori di un omicidio in Italia è quasi triplicata in un anno. Nel 2024, anno cui si riferisce il report da poco pubblicato, l’incidenza dei delitti commessi dai minori è dell’11% sul totale degli omicidi rilevati, a fronte del 4% dell’anno precedente. Ed è quasi raddoppiata la percentuale di minorenni uccisi: era del 4% nel 2023, è schizzata al 7%, nel 2024.
Da nord a sud, da est a ovest, l’Italia è un bollettino di guerra. E non sono solo scontri tra bande. E non è vero che a essere coinvolti sono solo gli italiani di seconda o terza generazione, figli di migranti o migranti essi stessi. Ci sono ragazzi e ragazze di ogni estrazione e di ogni provenienza.
Perché?
Secondo un rapporto del Censis, il 49,4% dei giovani italiani tra i 18 e i 25 anni ha affermato di avere sofferto di ansia e depressione post Covid. Per la stessa ragione, il 62,1% ha cambiato la propria visione del futuro. E ancora. Il 38% dei ragazzi ha riportato esperienze di bullismo subite personalmente o dai compagni (8 su 18 ne hanno avuto esperienza alle scuole medie). E ancora. Il 71% degli studenti intervistati dice di provare un disagio, ma tra i genitori, solo il 31% si accorge dei problemi del proprio figlio.
C’è una serie su Netflix che fa e ha fatto discutere.
Si intitola Adolescence e narra le vicende di un ragazzino accusato di aver ucciso una propria compagna di scuola, che lo aveva bullizzato. È una serie che colpisce come un pugno sferrato in pieno petto. Perché ci spiega quello che i dati accennano. E cioè che i ragazzini vivono in un mondo parallelo, fatto di codici e di messaggi che viaggiano veloci e implacabili sui social e che sono portatori di condanne senza appello. Non funzioni. Non vai bene.
Che cosa ha a che fare questo con la Rete contro l’odio?
Molto. Moltissimo.
Perché quando il disagio si trasforma in avversione e discriminazione contro il diverso, la persona percepita come debole, le donne, è lì che si annida la scintilla dell’odio.
E dunque.
Dobbiamo andare nelle scuole, raccontare, spiegare. Preziosissimo, da questo punto di vista, il lavoro che svolgono i volontari delle diverse organizzazioni che fanno parte della Rete.
Dobbiamo spiegare ai più giovani che, come ben evidenzia la nuova edizione della Mappa dell’Intolleranza, gli stereotipi frusti con cui condiscono i loro post e le loro stories sono l’anticamera di costrutti culturali duri da scalfire, che legittimano anche l’uso della violenza, non solo verbale.
Dobbiamo opporci a chi pensa che i progetti D&I, su diversità e inclusione, vadano buttati dalla finestra perché non sono più “trendy”.
Ma ancora non basta.
Dobbiamo allearci con le amministrazioni locali, lo stiamo facendo in diverse città, da Brescia a Reggio Emilia a Milano, per dar vita a progetti anti odio sul territorio, nei quartieri, nelle scuole. Dobbiamo lavorare di rammendo delle periferie, come dice Renzo Piano.
E dobbiamo ascoltarli, questi ragazzi e queste ragazze. E offrire loro spazi di dibattito, confronto, dialogo. Come la nuova rubrica che stiamo lanciando sul sito della Rete.
E dobbiamo, possiamo ingaggiarli e attivarli. E farci raccontare proprio da loro come si combattono i discorsi d’odio e perché fanno così male.
Vedi al progetto #Youhforchange.