Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere di Alessia Dulbecco, 2023, tlon editore, 184 pagg., €15,20
Alessia Dulbecco
Pedagogista, formatrice e counsellor, esperta in DE&I (Diversity, Equality & Inclusion). Ha lavorato per dieci anni nei centri antiviolenza e ora si occupa di formazione sui temi legati alla parità di genere; svolge inoltre consulenze educative, anche in presenza di DSA, con bambine/i e ragazze/i.
Pedagogia di genere
È una branca della pedagogia che analizza i condizionamenti di genere che i modelli educativi contemporanei ci impongono più o meno esplicitamente. Questa disciplina vuole decostruire tutti gli schemi mentali che ci ingabbiano in un rigido binarismo. Il suo strumento primario è l’educazione, che può aiutare le persone a “crescere nel pieno rispetto delle loro [e altrui] capacità”.
Stereotipo di genere
Lo stereotipo di genere è un “pregiudizio relativo ai diversi ruoli che si presume uomini e donne debbano avere in società”. È molto difficili da decostruire perché “per farlo dobbiamo mettere in discussione ciò che diamo per naturale”. A mano a mano che le bambine e i bambini crescono oltre all’educazione genitoriale subentrano “attori sociali” come la scuola che possono “limitare le possibilità di crescita”, ingabbiandoli in “percorsi unidirezionali e preimpostati che [li] orientano verso ciò che ci aspettiamo da loro, invece che potenziandone le loro competenze individuali”
Infanzia: il rosa e il blu
Chiunque oggi viva nel mondo occidentale attribuisce il colore rosa alla sfera femminile e il blu a quella maschile, ignorando che questa convinzione è frutto della genderizzazione operata dal marketing, nel ventesimo secolo. La netta distinzione tra i maschi e le femmine passa anche attraverso la credenza che ci siano comportamenti e persino emozioni, più adatte a un genere piuttosto che all’altro. “Il primo passo da compiere per mettere in discussione tutto questo, però, spetta agli adulti. È compito nostro riconoscere che un colore non è altro che un colore e non dice nulla del sesso, dell’appartenenza di genere o dell’orientamento sessuale di quel bambino o bambina.”
Adolescenza: scelte libere o “pilotate”?
Spesso nei testi scolastici e nei consigli di orientamento formativo, troviamo messaggi più o meno espliciti, che fanno pensare alle studentesse e agli studenti che nella società ci siano ruoli adatti unicamente agli uomini e altri alle donne. “Le donne sono invitate fin dalla più tenera età a rispecchiare un certo ideale estetico che, una volta adulte, si ritorce contro di loro.” “Il corpo sembra essere la più grande occupazione/preoccupazione delle bambine”. “La bellezza non si riflette solo sul piano estetico ma anche nella condotta sessuale”; “avere una vita sessuale attiva, cambiare relazione di frequente, fuoriuscire da quelle monogame o eterosessuali rientrano tra quelle condotte che, se agite dalle donne, vengono punite con più facilità.”
Età adulta: un’altra opportunità
L’autrice si chiede se “abbiamo mai ascoltato una narrazione che non abbia radicato nella maternità l’identità e l’appagamento sociale del genere femminile”; nella nostra società, inoltre, alle donne vengono demandati la maggior parte dei ruoli di cura, sia dentro che fuori le mura domestiche. Numerose ricerche però, mostrano come, sia il benessere economico che personale, crescerebbe se anche gli uomini si occupassero dell’accudimento. “Liberare i ruoli che assumiamo in famiglia o sul lavoro dagli stereotipi di genere produce effetti positivi che si rivelano utili anche nel contrasto alla violenza di genere. Secondo la Convenzione di Istanbul, […] è l’educazione la chiave per assicurare misure di intervento efficaci”. Dulbecco conclude affermando che “la diseguaglianza […] non ha nulla di naturale: risponde a specifiche regole che, fortunatamente, non sono immutabili e così come le abbiamo acquisite, possiamo modificarle”.