Le donne bersaglio dei discorsi d’odio

da | Apr 28, 2021 | Approfondimenti

Ddl Zan Senato

Le donne sono ancora le più odiate. Anche nel 2020, anno della pandemia, gli insulti online si concentrano contro le donne, e in particolar modo contro le lavoratrici.

Lo conferma il Barometro dell’Odio 2021 di Amnesty International.  Spesso lo shitstorming, opera di squadre organizzate e non di singoli, ha spinto le giornaliste a chiedersi se non fosse il caso di prendersi una pausa dai social, in cui gestire i post di odio cominciava a togliere tempo prezioso al core business, quello di trovare le notizie e di raccontarle.

Le donne sono sempre più nel mirino anche secondo le conclusioni della nuova Mappa dell’Intolleranza 5 del 2020 ideata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti. Per rilevare l’entità del fenomeno dell’hate speech il rapporto ha mappato e geolocalizzato ben 1.304.537 tweet contenenti parole considerate sensibili. Se il linguaggio d’odio nei tweet è diminuito rispetto al 2019, nota la mappa, si è tuttavia radicalizzato. L’hate speech si è concentrato soprattutto contro alcune categorie, come le donne, contro cui piovono insulti da tutte le parti d’Italia e con cui se la prende un odiatore su due.
Body shaming, accuse di incompetenza e incapacità: nessuna offesa viene risparmiata alle donne, soprattutto se lavorano, con picchi che si concentrano in corrispondenza degli episodi di cronaca che le hanno viste vittime di femminicidi.

All’interno della Mappa il focus di GiULia-giornaliste osserva quanto l’insulto contro le donne giornaliste si sia fatto pervasivo, puntando a ridurre al silenzio la voce di donne autorevoli impegnate in campi sensibili quali politica, migrazioni o criminalità organizzata. Un odiatore via social su due se la prende con le donne: segno di paure e debolezze ancora troppo radicate e della presenza ingombrante di antichi tabù culturali.

I linguaggi d’odio contro le donne colpiscono soprattutto sul web e si concentrano principalmente verso le donne impegnate in politica, nello spettacolo o nell’attivismo, in particolare nelle Ong per il soccorso dei migranti. In tutti i casi si tratta di donne che hanno fatto sentire la loro voce: si pensi a Laura Boldrini o a Carola Rakete, a Emma Marrone o a Michela Murgia, prese di mira anche da esponenti politici con cariche istituzionali, che hanno sdoganato un linguaggio irrispettoso nei loro confronti.
L’idea, soprattutto per i sostenitori delle politiche sovraniste, è che la violenza sia lo strumento appropriato per punire le donne che pensano e agiscono in maniera autonoma e che non accettano linguaggi e comportamenti privi di rispetto nei loro confronti.

Le donne al centro del bersaglio tra sessismo e razzismo”: il rapporto pubblicato dalla Fondazione Pangea Onlus nel 2019 presentava i risultati di un monitoraggio su media e social network con lo scopo di analizzare come le donne, e in particolare le rifugiate, venivano rappresentate nei mezzi di comunicazione e se fossero bersaglio di linguaggi d’odio.
Il report di Pangea Onlus analizzava altresì tre casi emblematici di donne prese di mira con linguaggio d’odio: si tratta di Sara Gama, capitana della squadra nazionale italiana di calcio femminile, della giornalista Asmae Dachan e di Rama Malik e Nibras Asfa, attiviste per il movimento delle sardine.
Donne italiane di origine straniera che spiccano nelle loro professioni, per le loro competenze o per le loro idee, e che attirano su di sé l’odio degli haters.

Citiamo infine le rilevazioni del Barometro dell’Odio nel periodo marzo-maggio 2019.
Lo studio aveva analizzato 215.377 tweet: di questi, quasi 55.347 erano rivolti alle donne e quasi 40.000, il 27% del totale dei tweet negativi, erano di stampo misogino e sessista. Dai dati emergeva che anche allora le donne si confermavano tra le categorie maggiormente nel mirino degli haters via social, con un aumento dell’1,7% rispetto al 2018.
Durante la campagna elettorale per le Europee 2019 il tema “donne”, secondo il rapporto di Amnesty, raccoglieva il 65% dei commenti negativi sui social media, seguendo a ruota “Rom” (76%) “immigrazione” (73%); “minoranze religiose” (70%).
Amnesty aveva poi analizzato i post relativi a 20 personaggi noti italiani, 10 uomini e 10 donne, riscontrando che gli attacchi personali diretti alle donne superavano di un terzo quelli rivolti agli uomini. Di questi, in media uno su tre, ma in alcuni casi uno su due fino ad arrivare a picchi del 71%, era di carattere sessista. I diritti delle donne riguardavano un commento sessista su quattro.